Un pamphlet di un eminente storico, Massimo Montanari, ci dà modo di tornare su un argomento a noi caro, la guerra ideologica tra tradizione e innovazione a tavola. Il Club si è espresso chiaramente in merito, e anche il professore ha idee ben precise…
Massimo Montanari è uno storico, professore di Storia medievale all’Università di Bologna, dove insegna anche un’altra branca che a noi – non ce ne vogliano i seri cattedratici… – suona un po’ più semplice e gradita: la Storia dell’alimentazione, materia nella quale è considerato un vero pioniere e un’autorità a livello mondiale
E se oggi abbiamo il piacere di ospitarlo su queste pagine, è proprio per via di quello che il nostro prof ha dichiarato nel libro “Il pregiudizio universale”, edito nel 2016 da Laterza (il titolo del suo contributo è “Nella carbonara la cipolla non ci va”). Il volume è scritto a più mani e chiaramente Montanari non poteva sottrarsi a parlare dei pregiudizi in campo alimentare, ma la cosa interessante è che ha preso a simbolo del suo pensiero etico-gastronomico proprio la carbonara…
Carbonara che, in effetti, ben si presta al pregiudizio, dato che non esiste una ricetta ufficiale, una reale testimonianza storica, e quindi ne consegue che fioriscono le interpretazioni, con conseguenti diatribe tra puristi e creativi
Su questo aspetto noi del Carbonara Club abbiamo sempre avuto una netta presa di posizione, che è quella della “carbonara democratica” (nella foto di apertura): vale a dire che, in assenza di una norma precisa, tutte le varianti sono lecite, a patto ovviamente che siano buone. Niente ketchup, insomma, ma su tanti altri ingredienti, anche all’apparenza bizzarri, se ne può discutere…
E questo è anche, e ne siamo fieri, il parere di Montanari, che nel suo libro così scrive:
“Guanciale sì, pancetta no. Pecorino sì, parmigiano no. Olio sì, panna no. Il tuorlo sì, l’albume no. (…) E l’aglio? E la cipolla? Qualcuno li ha definiti «ingredienti della discordia», che possono rovinare un’amicizia. (…) Il problema è chi decide le regole. Se una ricetta è firmata, «d’autore», gli ingredienti e la preparazione sono stabilite da qualcuno con nome e cognome. Solo quella è «autentica». Ma se l’autore è collettivo – come è sempre il caso quando si tratta di ricette «tradizionali», o presunte tali – chi garantisce l’autenticità?
(…) Un po’ di regole devono esserci, per forza. Dietro ogni ricetta immaginiamo prove, esperimenti, elaborazioni (…) Alla fine, uno standard si sarà fissato, condiviso nei princìpi di base, nella procedura, negli ingredienti. Una ricetta ha sempre delle regole – una ricetta è una regola. Ma nessuna ricetta è immobile e immutabile, fino a che qualcuno non la codifica. Ma a quel punto avrà una firma, un autore che pretende di avere interpretato l’autentico dichiarando «falso» quanto non si adegua alle sue scelte. (…) in quel modo la ricetta si fossilizza, esce dalla storia per entrare nella teologia. La storia è il luogo della vita e del cambiamento. Ciò che non vive e non cambia non le appartiene”.
Eh, già… la Storia. La Storia che è divenire, trasformazione, contaminazione. In una parola sola: evoluzione, potremmo dire. Democratico, anche a tavola, Montanari lo è per davvero. Sentite un po’: “fatico a scandalizzarmi dello «scandalo francese» che ha fatto il giro del mondo sul web: una carbonara con pancetta e (horribile dictu) cipolla, con un tuorlo crudo aggiunto alla fine senza mantecare (…) Allora che dovremmo dire delle carbonare «di mare» o di quelle vegane, che ormai si ammettono senza troppe discussioni?
Dice: fa’ quello che vuoi, ma non chiamarla carbonara. Risponde: ma se la mia ispirazione è stata quella perché dovrei cambiare il nome? Il mio vuol essere un omaggio alla tradizione, che se ci pensi è anche innovazione, perché «tradizione» non è che un’invenzione riuscita particolarmente bene, che molti hanno condiviso e perciò è diventata tradizione. (…) se la comunità decide che (la mia invenzione) è una schifezza, resterà uno sfizio mio e morirà dove è nata; se comincerà a piacere, comincerà a circolare e una nuova tradizione si sarà creata.
Lo sentiamo dire di continuo: questo si fa così, questo si fa cosà. Il tortellino si riempie così. La tagliatella dev’essere larga tanto, alta tanto e spessa tanto. (…) Un micidiale pregiudizio governa queste idee, queste azioni: che l’origine delle cose sia più importante, più «vera» del loro divenire; che la storia serva a ricercare le origini, per trovarvi il senso del presente e ripulirlo da ogni tradimento o depistaggio.
(…) La cucina è fatta di alcune regole e di molte libertà, quelle che, giorno dopo giorno, danno vita e corpo a un piatto, trasmettendolo dall’una all’altra generazione. Senza dogmi, senza rigidità. La cucina è il luogo della variante e la ricetta è come uno spartito musicale, che si «realizza » solo quando viene interpretato, in modo ogni volta diverso. Se no tanto varrebbe ascoltare un disco – o mangiare cibi industriali, sempre uguali a sé stessi”.
Ipse dixit, e noi non possiamo che essere d’accordo e invitarvi dunque a provare, a sperimentare, contribuendo così anche voi all’evoluzione della specie…